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Martedì, 16 Maggio 2017 14:58

Sembianze di memoria

Scritto da Alvaro Valentini
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Smarrirsi nel buio e vedere la luce, calarsi nell’arcano e trovare la verità, indagare la coscienza e scoprire un flusso ritornante di emozioni, ricordi, suggestioni. E di sentimenti antichi mai dimenticati che tornano a manifestarsi con viva spontaneità e limpida freschezza, assecondando un impulso espressivo che infonde alla pittura una solennità e una spiritualità quasi religiose.               Sono proiezioni dell’animo, sembianze di memoria che affiorano dal profondo e si stabilizzano in morfologie che hanno il dono della novità e dello stupore come per una fulgida epifania che fuga le ombre e rende leggibile la profezia. In questo spazio mentale e psicologico si svela l’estro creativo dell’artista portato per naturale inclinazione ad ascoltare il silenzio, coltivare la solitudine, interrogare se stesso e il volto d’altri in una congiunzione ideale e simbolica, tesa a svilupparsi in piena libertà e autonomia, lontano dagli accademismi e dai condizionamenti mercantili.                                                                                                                                        Schivo e intuitivo, come lo sono per etnia e costume i marchigiani, Leonardo Serafini dipana il suo verbo pittorico con grande personalità e cifra stilistica. Autodidatta per vocazione, si muove nell’area dell’astrazione e dell’informale, senza abbandonare del tutto il mito razionalista e figurativo. Questa scelta estetica si commisura a distanza, in modo del tutto inconsapevole e casuale, con l’arte informale europea del secondo dopoguerra elaborata da Fautrier, Dubuffet, De Stael, Hartung, Mathieu, Gruppo CoBra, e in particolare da Burri, Afro, Romiti, Moreni e Soulages che sente più congeniali al suo modo di essere e di pensare. E’ sorprendente rilevare come questo simbiotico rapporto nasca da uno slancio creativo comune che sovverte le regole classiche della mimesi naturale per indagare il mondo interiore dove abitano i pensieri, le emozioni, i sogni dell’uomo. Il “rifiuto della forma” praticato dagli informali determina una frattura emotiva, istintuale, trasgressiva di percezione della realtà, trova il modo cioè di abolire “le barriere tra esistenza e coscienza, tra conscio e inconscio, tra pensiero e azione” (Lorenza Trucchi, 1973), apre nuovi mondi, sino ad allora disattesi, che vibrano di mistero e di suggestione. Animo sensibile e raffinato, Serafini vive in comunione diretta con il suo stato psichico e mentale e riversa sulla tela i propri sentimenti, le proprie emozioni. “Dentro i miei quadri - afferma - ci metto l’anima, impastati con i colori ci sono le mie lacrime”. In realtà nelle sue opere, siano esse dipinti, carte, ceramiche, si riflettono i tormenti, le angosce, le speranze dell’uomo contemporaneo. Sono queste motivazioni  esistenziali a rendere la sua pittura come qualcosa di unico e di significante in grado di coniugare l’universo delle realtà mentali e delle insorgenze emotive in una osmosi di realtà e di valori etici.                                                Nella sua pittura nulla è superficiale o lasciato al caso, ogni opera nasce da una idea, un progetto; lo stesso suo automatismo è ponderato, così come il colore espressivo si deposita su uno sfondo armonizzato che lascia spazio al sopravvenire delle urgenze emotive, psicologiche e mentali. La metafisica esistenziale prende corpo e si tramuta in coscienza dell’uomo e poesia dell’universo.                                                                 Segni-gesti e materia-colore riflettono è vero una condizione psico-fisica, ma aprono anche orizzonti diversi, amalgamati in un contesto visionario e onirico, simbolico e allusivo. E’ il caso dei  quadri Città oniriche che l’artista ha recentemente realizzato, ponendo fine ad un ciclo pittorico di libertà e di evasione dove a dominare sono i piani concatenati che sembrano galleggiare in una atmosfera rarefatta, quasi nebulosa, come navicelle sospese nello spazio mentale e immaginario. Sono visioni di paesi lontani sognati e mai posseduti, sembianze surreali che rimandano a “Le città invisibili” di Italo Calvino, città di memoria, città di desiderio, città fantastiche che rispondono al nome di Clio, Melpomene, Talia, città di distruzione bellica come Aleppo (che l’artista eleva a simbolo alto di speranza e di rinascita), o inconsce premonizioni ravvisabili in Quando preghi la pioggia il fango va messo in conto legato al dissesto idrologico e ambientale del nostro territorio.                   I dipinti di questa mirabile serie trascrivono architetture e costruzioni urbane che si condensano al centro della tela in un gioco ambivalente di luci e di colori, misurate da una simmetria multipla di forme e di piani, sempre ricondotta entro un’aura di  languori e tepori evanescenti emergenti dai recessi del sogno e della memoria. I colori rossi, gialli, verdi, blu si stemperano in dissolvenze  tendenti all’ocra pallido, al bianco velato, all’azzurro tenero che vanno a determinare singolari campiture di chiarori albeggianti e di foschie autunnali. Sono effetti cromatici suggestivi che l’artista ottiene attraverso un mirato trattamento dei vari supporti usati: carte stropicciate, tele increspate, tavole levigate o raschiate che vengono ripetutamente bagnate e lasciate asciugare allo scopo di ottenere increspature, ondulazioni, scabrosità, linee e segmenti impensati che vanno a sostenere e diversificare l’assetto compositivo del quadro. Le stesse carte, apparentemente fragili e delicate, mostrano una elevata capacità di resistenza e di compattezza. Ancorché deteriorate, sono recuperate, restaurate e utilizzate in quanto portatrici di macchie liquide, aloni e impronte simili all’acquerello. L’immersione in acqua dei materiali è per Serafini un rito quasi sacrale, una sorta di “battesimo” che dona una identità “verginale” altra al supporto, dischiudendo infinite possibilità d’intervento sulla superficie pittorica in cui interagiscono oltre ai colori a olio e acrilico, sottili lamine d’oro, lastre di rame, vernici speciali e ingredienti comuni come bitume, caffè, collanti e solventi, il tutto fuso e amalgamato secondo una particolare tecnica da lui stesso inventata dopo lunghi anni di appassionata ricerca e sperimentazione.

Oltre ad essere un inquieto argonauta dell’arte, Serafini è uno architetto di morfologie tratte dai valori cromatici, un fabbricatore di colore e di luce con cui conferisce alla superficie pittorica volume, espressività, significato. Ne discende a volte una pittura di pure forme che, come le idee platoniche, vivono fuori del tempo, ma sono ugualmente concrete e materiche quanto può esserlo la vita stessa. Il suo stilema cromatico può apparire talvolta denso, grumoso, madido di materia combusta (vedi Santiago de la Ribera e simili), tal’altra levigato, marmoreo, percorso da una luce suadente come avviene nel dipinto Tunnel (ispirato da una esperienza extrasensoriale vissuta) o nella tela Il Moro (dedicata al padre scomparso) permeata da uno scenario incandescente in conflitto con le zone scure e nere del quadro, dove si ravvisano assonanze con la pittura di Caravaggio; sullo sfondo si staglia la silhouette di uno spirito, più che di figura umana, che sembra ascendere verso una grande Croce sospesa nel cielo. Questo simbolo universale di salvezza e redenzione torna a campeggiare come stigma indelebile in altre sue composizioni come Auschwitz, Mundaka, San Pedro, Alicante, Bilbao, Barcellona, My life e nella serie dei dipinti Pearl Harbor dove l’intreccio dei tralicci posti in senso verticale e orizzontale richiama i legni della Croce.                                                                                                                                                                 Il viaggio visionario e immaginifico di Serafini non finisce qui, ma continua con rinnovato fervore nelle Terre di Spagna: splendide e favolose per se stesse le città andaluse hanno la magica suggestione di un’anomalia, tanto calate sono in smaglianti configurazioni materiche accese dalla solarità mediterranea, illuminate dai colori della vita. Sembrerebbe che l’artista voglia unire, non in tutto ma almeno parzialmente, i metodi dell’Action Painting con quelli del Color Field, trascinando la fantasia in uno spazio che va oltre il diaframma della superficie colorata. In tal modo si realizza una combinazione unitaria tra il paesaggio visitato e il suo equivalente immaginato in quanto determina una armoniosa sintesi pittorica di intensa vitalità  e di profondo respiro poetico. La medesima atmosfera emotiva si rileva in Quo vadis, Cardellino, Parole al vento, Smoking, Frastornato, La Parabolica, Logico, In the sky e in tutti gli altri dipinti, e sono veramente molti, che hanno il potere ammaliante di far meditare, piangere e sognare poiché attraversano gli accadimenti contemporanei del mondo e i momenti salienti della nostra esistenza.                                                                     E se è vero che “la verità è bellezza, la bellezza è verità” (Keats) o che “la bellezza è una promessa di felicità” (Stendhal) pare Logico ribadire il concetto stesso alla luce del significato ispirato che permea la pittura di Leonardo Serafini. La grande bellezza non sta solo nel rincorrere Di segno in materia  Il covo dei pirati o l’isola che non c’è, ma di scoprire con Occhi belli, puri, estasiati gli interminti spazi e i sovrumani silenzi de L’infinito sino a toccare con mano amorevole La particella di Dio da cui discende il principio di ogni creazione.  

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